È il 1922 quando Pirelli inaugura il Museo Storico delle Industrie Pirelli, uno spazio espositivo permanente per raccontare le materie prime, i processi produttivi, i prodotti e le loro applicazioni, ma anche le tante manifestazioni sportive in cui Pirelli è presente, la pubblicità, e ancora, le iniziative di welfare nel campo dell’assistenza, della previdenza, della cultura. In quell’anno Pirelli compie cinquant’anni di attività e, tra le diverse iniziative messe in campo per celebrare questa ricorrenza, decide di aprire, con la collaborazione e il sostegno anche economico del personale dell’azienda, quello che è il primo esempio di museo aziendale in Italia. L’allestimento è realizzato nelle sale della quattrocentesca Bicocca degli Arcimboldi, oggi sede di rappresentanza del Gruppo all’interno dell’headquarter dell’azienda a Milano. Il Museo sarebbe stato “un’attrazione certamente notevole per tutto il pubblico di Milano e per molti di coloro che vengono nella nostra città”, un museo dichiaratamente pensato per dialogare con la città, e per custodire una parte importante della sua memoria e delle sua identità in divenire. Gran parte della documentazione esposta al Museo – dismesso dopo la Seconda guerra mondiale – diventerà il nucleo originario dell’Archivio Storico Pirelli oggi conservato presso la Fondazione Pirelli, istituzione nata nel 2008 per promuovere in Italia e all’estero la cultura d’impresa del Gruppo.
Ulteriori informazioni e immagini sul sito www.fondazionepirelli.org |
Il CASVA nasce nel 1999 dall’incontro tra Alessandra Mottola Molfino e Zita Mosca Baldessari, che, insieme, sognavano di dotare la città di Milano di un grande centro che raccogliesse tutte le fonti iconografiche per lo studio delle arti visive sul territorio milanese. Attualmente l’istituto conserva 25 archivi di architetti, designer, urbanisti e grafici che hanno avuto come centro della loro attività Milano. La presenza del CASVA a Milano è espressione di una relazione con la città che si sostanzia in un preciso progetto scientifico, ovverossia la ricostruzione della vicenda della “scuola di architettura” di Milano nel Novecento. L’istituto sta lavorando alla realizzazione della propria nuova sede che si collocherà nel quartiere iconico per l’urbanistica e l’architettura del Novecento del QT8, una delle zone più tormentate della Milano del dopoguerra, palude e montagna di macerie (e di corpi). La tenacia di Bottoni e di coloro che lo hanno seguito hanno portato a compimento un modello di città giardino, incompiuto, come purtroppo spesso succede, ma ancora unico e esemplare modello di quartiere sperimentale in una delle poche metropoli degne di questo nome in Italia. L’ex mercato del QT8, futura sede dell’archivio, svolgerà quindi il ruolo di epicentro formale e operativo del quartiere con un focus particolare alla qualità architettonica del contesto e con attività rivolte ai suoi abitanti.
Courtesy: blog.urbanfile.org
Più specifiche informazioni sulle raccolte documentarie si trovano sul sito (https:// casva.milanocastello.it/it). |
Il tappeto, di grandi dimensioni (507 x 227 cm), rappresenta emblematicamente il Paradiso, immaginato come un giardino rigoglioso e lussureggiante: davvero un luogo ameno e affascinante per un popolo, come quello della Persia del XVI secolo, abituato a vivere in un ambiente prevalentemente arido e desertico. Il medaglione centrale di colore blu, ornato da fiori e uccelli, è collocato su un fondo rosso, a sua volta decorato da alberi fioriti, fiori, draghi, uccelli, animali feroci e dalle urì, le creature angeliche, di genere femminile, del Paradiso musulmano. La bordura principale, a fondo azzurro chiaro, è caratterizzata dal motivo “herati”, che alterna palmette a coppie di foglie falciformi circoscriventi un fiore. La bordura secondaria interna di colore blu contiene invece una lunga iscrizione che elogia la bellezza del tappeto e ne dichiara la destinazione per lo Scià di Persia. La policromia vivace, l’uso della seta e del filo metallico d’argento e d’argento dorato e la decorazione con elementi floreali e zoomorfi ci permettono di attribuire la tessitura del tappeto a un centro di produzione della Persia centrale, forse Qazvin, poco oltre la metà del XVI secolo. Gian Giacomo Poldi Pezzoli acquistò questo splendido tappeto per 80 lire a un’asta svoltasi a Milano il 1° maggio 1855. Nel 2013 l’opera è stata sottoposta ad un accurato intervento di restauro.
© Museo Poldi Pezzoli, Milano
L’istituzione partecipa a Museo Segreto anche con un approfondimento video che sarà disponibile dalle 11 di martedì 2 marzo sul canale YouTube dell'Associazione MuseoCity |
Nell’anno del secondo centenario dalla morte di Carlo Porta (5 gennaio 1821), si intende dare doveroso rilievo ai due dipinti ‘portiani’, esposti nella Sala Grossi: Tommaso Grossi al letto di morte di Carlo Porta, di Enrico Cadolini (1858), e Tommaso Grossi e Carlo Porta compongono il “Giovanni Maria Visconti”, di Giacomo Mantegazza, conosciuto per le sue sequenze illustrative della Quarantana. Si corredano i dipinti con il “Codice Pozzi”, una raccolta di autografi di Tommaso Grossi, Luigi Rossari, Gaetano Cattaneo (si osservi nella stessa sala il suo ritratto, messo a disposizione dai discendenti), raccolti da Luigi Rossari per farne dono a Elisa Grossi, figlia di Tommaso, nel suo onomastico. Carolina Pozzi Cavagna Sangiuliani, figlia di Maria e nipote di Elisa, e madre di Antonia, ha voluto donare questo prezioso codice al Centro Manzoniano, in ricordo della figlia Antonia, e della poesia delle sue Parole. Il “Codice Pozzi” testimonia gli otto sonetti ‘stoppaneschi’ inviati il 10 marzo 1819 da Porta a Manzoni, e la risposta a lui di Manzoni con un sonetto e un “tetrastico meneghinico”, quattro endecasillabi in milanese, la sola sua concessione alla grande tradizione dialettale che ha avuto in Carlo Porta il più alto interprete. A fianco di questo codice, pregevole anche per la legatura in pelle rossa con iscrizioni dorate, si espongono i testi di Carlo Porta, conservati nella Biblioteca Manzoniana. |
All’attore e commediografo Edoardo Ferravilla (pseudonimo di Edoardo Villani, Milano 1846-1915) Palazzo Morando dedica un focus grazie al rinvenimento di alcuni bozzetti e oggetti relativi ai personaggi da lui interpretati. Ferravilla ebbe una infanzia travagliata; il successo gli venne grazie allo sguardo illuminato di Cletto Arrighi, che lo scoprì nel 1870 aprendogli le porte del teatro dialettale. Famosissimo e acclamato dal pubblico, Ferravilla creò dei personaggi che fanno parte della tradizione milanese, da Massinelli al Sur Panera al Tecoppa. Sue le farse che li vedono protagonisti sui palcoscenici cittadini, povere nei testi ma straordinarie per la sua capacità di improvvisazione. Ferravilla diede vita a queste macchiette anche in alcuni cortometraggi della Comerio Film da lui stesso interpretati. Nei bozzetti ad acquerello e matita rinvenuti nelle collezioni civiche fanno capolino proprio loro, impersonati dall’attore, in uno spaccato della Milano del tempo solare e spensierata. Nelle sale del Museo saranno allestite alcune vetrine con i bozzetti e gli oggetti a lui appartenuti, per un salto indietro nel tempo. |
Si tratta di una macchina da scrivere “mono tasto” (con un solo tasto) prodotta nella stessa Chicago, principale città industriale dell’Illinois - USA, presentata all’Exposition del 1893, composta da pochi pezzi metallici, dal funzionamento lento e complicato. Il rullo porta foglio è posizionato in senso trasversale e consente solo l’uso di fogli di piccole dimensioni escludendo la possibilità di una copia con la carta carbone. Esistevano già nel 1893 altre macchine per uffici come le Calligraph e Remington, ma queste erano molto costose mentre la Odell aveva il vantaggio di un costo molto contenuto, ben venti volte meno delle altre. Ma il solo vantaggio economico non consentì alla macchinetta di affermarsi e oggi ne rimangono solo alcuni pezzi mal funzionanti. Una di proprietà del Museo sarà esposta al pubblico in occasione di MuseoCity 2021; esempio significativo di produzione industriale realizzata per diventare uno strumento tecnologico alla portata di tutti. |
A partire dai primi anni del 1900 fino al 1963 circa veniva utilizzato dagli addetti del servizio acquedotto un carretto per le operazioni di pronto intervento manuale sulla rete cittadina. Al suo interno sono visibili le attrezzature che servivano per le piccole riparazioni: le chiavi di manovra delle valvole per il blocco del flusso d’acqua; le chiavi per aprire e chiudere i tombini; il mestolo per versare il piombo fuso e saldare le tubazioni ammalorate; l’idrante e la congiunzione per lo spurgo delle tubazioni (eliminazione dell’aria e dello sporco); le guarnizioni per tubazioni e valvole; gli attrezzi per sostituire i contatori dell’acqua. Il carretto rappresenta idealmente la cura che il servizio dell’acquedotto civico ha riservato negli anni all’ambiente nella metropoli milanese. |
Alla fine della Seconda guerra mondiale è un mondo nuovo: i motori avio Alfa Romeo non equipaggiano più bombardieri ma aerei da turismo e addestramento, spesso protagonisti di raid e imprese benefiche. Un esempio significativo è il SAI Ambrosini 1001 Grifo che nel 1949 ha compiuto con Leonardo Bonzi e Maner Lualdi la tratta Milano - Buenos Aires per l’Opera di Assistenza Don Carlo Gnocchi. Battezzato “Angelo dei Bimbi”, è stato fra i primi aerei da turismo a effettuare la trasvolata atlantica: dopo aver volato da Milano a Dakar, fu privato di paracadute, equipaggiamenti e addirittura della radio per stivare la maggior quantità possibile di carburante. Giunto a Buenos Aires, ha trovato l’entusiastica accoglienza dei cittadini italiani emigrati in Argentina, raccogliendo generose donazioni utilizzate per dare un futuro ai “mutilatini” che Don Carlo Gnocchi cercava di curare dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale. Una storia tutta milanese di solidarietà, che negli anni difficili del Dopoguerra è diventata un esempio per tutta Italia. Il velivolo appartenente al Museo è stato acquistato da un aeroclub di Roma nel 1973 e vanta una livrea identica all’aereo originale andato distrutto poco dopo l’impresa, nel corso di successive trasvolate in America Latina. Conservato per anni nei depositi, è stato recentemente restaurato e rimontato nel corridoio di ingresso del museo, in una sezione dedicata a un capitolo meno noto della casa automobilistica, quello relativo alla produzione aereonautica.
Foto storica con la benedizione dell’Angelo dei bimbi 1949
Foto: Museo Alfa Romeo
L’istituzione partecipa a Museo Segreto anche con un approfondimento video che sarà disponibile dalle 9.30 di domenica 7 marzo sul canale YouTube dell'Associazione MuseoCity |
Nel corso degli anni i due coniugi Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, complice l’amicizia con l’artista, riuscirono a collezionare numerose opere di Lucio Fontana, oggi esposte nelle sale della Casa Museo Boschi Di Stefano e del Museo del Novecento. Questa attenzione si intrecciava alla passione di Marieda per la scultura: al piano terra della palazzina di via Jan 15 che ospita il Museo, aveva aperto negli anni Cinquanta una scuola di ceramica, consacrando una vocazione coltivata sin dagli anni giovanili. Al recupero di questi spazi si deve il recente ritrovamento di alcune “Pietre” probabilmente appartenute a Fontana: si tratta di tre frammenti di pasta di vetro, materiale che l’artista era solito apporre sulla tela di supporto di alcune sue opere. Oltreché un omaggio nei confronti di Lucio Fontana, che seppe dare nuovi impulsi all’arte, l’esposizione di questi oggetti vuole stimolare una complessa riflessione. Espressioni del fare artistico, emblemi dell’entusiasmo collezionistico, rappresentazioni di un’amicizia, le “pietre” ci invitano a esplorare il potenziale dell’arte: mezzo espressivo per chi la pratica, coinvolgimento emotivo per chi la osserva, ma anche esperienza in grado di stimolare valori simbolici individuali o collettivi. La pasta di vetro trovò applicazione a Murano dal XVII secolo, quando il maestro vetraio Giovanni Darduin trascrisse la prima ricetta della “pasta stellaria overo venturina”, ottenuta fondendo vetro con ossidi di piombo, di stagno, di rame rosso e di ferro. |
Negli anni 1960-1970 sulle ambulanze dei Vigili del Fuoco di Milano, in caso di bisogno durante un intervento di Pronto Soccorso, veniva montato il Polmoplast, un polmone in materiale plastico utilizzato per la ventilazione artificiale. L’apparecchio pesa circa 90 Kg. ed è munito di ruote con passo standard e manici estraibili per poterlo caricare/scaricare dalle ambulanze. Questo tipo di polmone possiede l’importante requisito di funzionare, non solo sul luogo dell’intervento, ma anche durante il trasporto del paziente al più vicino ospedale cittadino. Una vera apparecchiatura di elezione per interventi nei casi di asfissia o nei casi in cui necessita una respirazione artificiale controllata. Due apposite valvole, poste sul semicilindro superiore, permettono di regolare il valore massimo di decompressione e compressione ai livelli ritenuti necessari e sufficienti per una adeguata ventilazione polmonare. Speciali cerniere assicurano una rapida chiusura ermetica. La base serve anche da barella e da lettino chirurgico di circostanza. |