Nell’ambito di MuseoCity, all’Acquario civico di Milano sono esposte al pubblico una parte delle conchiglie marine della collezione di studio di Fernando Ghisotti, custodita nei suoi depositi. |
1. Oro, aggregati arborescenti nel quarzo Campione rinvenuto nel Filone della Speranza, Brusson, Val d’Ayas, Aosta; 2. Berillo varietà Morganite Grande cristallo zonato proveniente dallo stato di Minas Gerais, Brasile; 3. Zolfo, Gruppi di cristalli su calcine Esemplare rinvenuto nella miniera di Cozzodisi Castel Termini, Agrigento; 4. Topazio, enorme cristallo brasiliano. Esemplare rinvenuto nello stato di Minas Gerais, Brasile; |
Gli elementi da armatura gladiatoria (tre elmi, uno scudo e una coppia di schinieri), appartenuti alla collezione Sambon, riproducono le armi da parata rinvenute durante gli scavi condotti nella regio VIII di Pompei nel quadriportico del teatro, successivamente trasformato in caserma dei gladiatori. |
Le xiloteche sono collezioni documentate di sezioni sottili di legno appartenenti a diverse specie vegetali. Le due raccolte storiche si presentano in forma di piccoli libri-contenitori o come piccoli schedari. Le piccole dimensioni e soprattutto il sottile spessore rendono i campioni maneggevoli e adatti alla loro osservazione tramite una semplice analisi visiva per trasparenza; dalle caratteristiche anatomiche delle sezioni analizzate è quindi possibile identificare la specie di appartenenza dei campioni. |
Il libro, scritto da Galileo in poche settimane per far conoscere le scoperte ottenute osservando il cielo attraverso un cannocchiale, riproduce in dettaglio le “imperfezioni” della superficie lunare, rivela l’esistenza di 4 lune attorno a Giove e trasforma la Via Lattea in un innumerevole coacervo di stelle. |
Abito bustier a balze, in tulle nero con pois bianchi e veletta nera ricamata. Il capo da sera appartiene alla Collezione Giorgio Armani Privé autunno/inverno 2014-15 "D'une boîte laquée". |
Il Museo Teatrale alla Scala, per l'edizione 2017 di Museo Segreto, ha esposto dei bozzetti di Giacomo Balla creati dall'artista per mettere in scena, nel 1917, al Teatro Costanzi di Roma (attuale Teatro dell’Opera), "Feu d’artifice" per i Ballets Russes, su musiche di Igor Stravinsky. Fu un curioso esperimento di “balletto senza ballerini”, in cui a danzare era di fatto l’illuminazione, articolata in un complesso di accensioni e spegnimenti di ben 49 luci policrome. La scena progettata da Balla era invece costituita da solidi geometrici ricoperti di tela. |
Il dipinto è dominato dalla figura di un vecchio vestito con una giacca più volte rattoppata, una maglia rossiccia, un fazzoletto bianco attorno al collo, e con il capo coperto da un grosso cappello che proietta un’ ombra poco sopra l’altezza dello sguardo. Un piccolo squarcio di cielo in alto a destra ci suggerisce che l’ambientazione è all’aperto. La figura davanti a cui ci troviamo è quella di un mendicante che si appoggia stancamente al suo bastone e rivolgendoci uno sguardo supplichevole, che emerge dall’ombra, ci tende la mano aperta. In contrasto con l’ombra, che oscura la parte alta del volto, è la luce che illumina la barba bianca al centro della quale la bocca è semi aperta nell’atto di parlare allo spettatore. Il quadro è stato attribuito dallo storico Luciano Anelli come opera del pittore Pietro Bellotti, molto attivo nella seconda metà del Seicento, di origine Bresciana ma formatosi a Venezia presso la scuola di Giovanni Forabosco. |
Il coltello, caratterizzato da una lama in ferro traforata, si ritiene fosse utilizzato durante la celebrazione eucaristica: probabilmente in uso soprattutto in ambienti monastici, e particolarmente in quelli dell’ordine cluniacense, per la frazione del pane. |
Si potrebbe quasi dire che un imprevedibile destino leghi l’opera di Felice Casorati (Novara 1883 - Torino 1963) alla Villa di via Mozart. Seguendo percorsi diversi infatti ben quattro dipinti del pittore hanno trovato nella casa dei Necchi Campiglio il contesto ideale per una esposizione definitiva. Ha aperto la strada Claudia Gian Ferrari, che nel 2008 ha donato alla villa del FAI un importante nucleo delle sua collezione novecentesca e che per Casorati ha selezionato "Nudo disteso di schiena" del 1937, da lei stessa collocato nel Salone. L’opera segna già il distacco del pittore dalle riproposizioni neoquattrocentesche degli anni precedenti e mostra una ricerca di forme essenziali, costruite per ampie campiture cromatiche. Grazie all’intercessione della gallerista milanese, un secondo lavoro dell’artista giunge in villa nello stesso anno: si tratta di "Monumento ai caduti in corsa", una tempera su carta donata dagli eredi Spotorno e ideata come studio preparatorio per un grande pannello esposto al Salone dell’Automobile di Torino dal 1961. Anche il tema caro al pittore della pittura di oggetti quotidiani varca le soglie della dimora: una prima volta nel 2008 con il dono di Gioia Marchi Falck di "Natura morta con le uova" (1951), nel quale le uova, così frequentemente indagate dall’artista, sono questa volta avvicinate a dei bastoni dai plastici pomoli in avorio. Infine, nel 2016, gli eredi Galtrucco (Eleonora Cristina, Piero Andrea Edoardo e Alessandra) hanno destinato alla villa il dipinto "Scodelle e genziane o La cucina" (1959-1960), in ricordo della loro mamma, Wanda Galtrucco, impareggiabile protagonista del mondo della moda e del collezionismo ambrosiano. Sono proprio gli oggetti quotidiani e della tavola, qui messi in forte risalto dal panno giallo sulla tavola, a interessare Casorati, che ricorda come “nei momenti più disperati della mia vita di artista, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingendo umilmente una scodella, un uovo, una pera”. |
È possibile conoscere i tesori del Palazzo di Brera tramite l’audioguida gratuita che presentiamo. Passeggiando attraverso il cortile d’onore e i corridoi si potrà scoprire che in questo edificio hanno sede la Pinacoteca, l’Osservatorio astronomico, l’Orto botanico, la Biblioteca, l’Accademia di Belle Arti, l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere e l’Archivio Ricordi, realtà culturali che risiedono nel Palazzo e hanno un passato in comune. |
Si tratta di una delle esperienze più note di Bruno Munari, realizzata all’interno della mostra “Vietato non toccare”, e sottolinea come un Laboratorio Metodo Munari sia a tutti gli effetti opera dell’artista. È una ricerca che vuole esplorare le possibilità di comunicazione di ogni strumento grafico con una particolare attenzione al valore espressivo del segno. |
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L’Alfa Romeo e Milano. Un legame che il Museo Storico Alfa Romeo ha illustrato e approfondire attraverso la storia del suo Marchio, nato insieme alla stessa Alfa Romeo nel 1910 e profondamente legato alla città di Milano nei simboli - il “Biscione” visconteo e la croce comunale - e nella sua evoluzione. Dal significato araldico degli emblemi alla loro presenza sul territorio milanese, le storie che li hanno visti protagonisti fino alla decisione della neonata Anonima Lombarda Fabbrica Automobili di farli propri nel nuovo logo a partire dalla 24 HP, prima vettura costruita e primo oggetto dell’esposizione museale. La narrazione si sposta poi sulle trasformazioni del marchio Alfa Romeo, guidate sia da vicende aziendali che dalle vicissitudini della storia italiana. Non vanno trascurati gli altri casi, più o meno legati alla Casa nata a Portello, in cui la croce e il Biscione si sono legati ad aziende o varie realtà, scrivendo capitoli, spesso sconosciuti, di una storia in cui l’Italia e Milano hanno saputo essere protagonisti, ispirazione e punto di riferimento. |
Cofanetto nuziale della scuola degli Embriachi (XV secolo) in legno rivestito di placche d’osso e avorio con la storia delle vergini sacre e delle vergini folli. Sul coperchio, figure alate e motivi geometrici in tartaruga. Maniglia in bronzo dorato. |
«Nel 1952/53 ho interpretato il "De rerum natura" di Lucrezio, l’ispirazione è venuta dal mio momento “nucleare” e dal suggerimento che qualcuno mi fornì sull’antica filosofia e conoscenza della scuola atomistica di Democrito, di Epicuro e poi di Lucrezio. Questi è stato il massimo cantore della concezione atomica nel mondo e mi è piaciuto illustrarlo, avvalendomi di riferimenti classici, per conferire una nobiltà culturale a quelle operazioni di avanguardismo nucleare che potevano sembrare ispirate solo alle scoperte tecnico- scientifiche dell’epoca. Le mie illustrazioni sono costituite da immagini figurative classicheggianti che rappresentano le vicende della vita e della morte e in particolare del sole, sotto i cui raggi si compiono tutti i nostri cicli biologici». |
Questo dipinto è un esempio dell’attenzione costante che l’artista ha dedicato alla natura. I frutti, le verdure, la scodella bianca appaiono qui nella loro semplicità. Anche la visione obliqua della scena, quasi estemporanea, sembra voler rimarcare l’ordinarietà degli elementi ritratti. Eppure la luce e la ricchezza del colore si soffermano a rivelarne la dignità, costituendo un invito a riscoprire un senso di meraviglia in ciò che appare umile e familiare. La bellezza, nelle opere di Dina Bellotti, si manifesta innanzitutto col carattere della gratuità. «Pittrice della vita» la definisce il critico letterario Carlo Bo, ammirando nella sua arte «quelle luci, quei contrasti violenti e allo stesso tempo dolci». «È il miracolo della vita che mi attrae» confida Dina Bellotti in un’intervista. Siano fiori, persone o paesaggi, nei suoi dipinti si avverte sempre un equilibrio, una grazia che fa scorgere nell’attimo irripetibile, colto nella pennellata veloce, un oltre che sa di eterno. Oltre alla GASC, le sue opere sono conservate in molti musei tra cui i Musei Vaticani, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, la collezione Ford di New York. Al Museo del Cinema di Torino sono esposti i suoi ritratti di attori del teatro e del cinema italiano. |
Il prezioso ritratto venne realizzato dal pittore Giuseppe Bossi in preparazione della tela vincitrice al Concorso nazionale indetto da Francesco Melzi d’Eril nel 1801 per un dipinto di grandi dimensioni che rappresentasse “La Riconoscenza della Repubblica Italiana a Napoleone”. La nota manoscritta sul bordo inferiore del foglio riporta infatti: “Donato a Carlo Porta dall’amico Giuseppe Bossi - È uno studio della testa di Napoleone I Console pel quadro La Riconoscenza che vinse il concorso indetto dal Melzi nel 1802”. Insieme al Bossi, al Concorso presentarono i propri dipinti anche Paolo Borroni, Francesco Alberi da Bologna, Maria Callani da Parma, Vincenzo Antonio Ravello da Torino e il professore di disegno all’Accademia di Brera Domenico Aspari, i cui lavori vennero giudicati da illustri giurati quali Traballesi, Knoller, Appiani, Cicognara, Mussi e Calvi. Diversamente dalla grande tela conservata all’Accademia di Brera, questo ritratto non ha alcun intento celebrativo ma sottolinea invece, attraverso un’attenta analisi psicologica, il carattere forte e austero di Napoleone, concentrando la potenza espressiva sul profilo della figura, lasciando abbozzati nuca e bavero. L’opera del Museo del Risorgimento va dunque a sommarsi agli altri studi realizzati dal Bossi per l’opera monumentale, quali ad esempio gli studi preparatori conservati al Gabinetto dei Disegni dell’Accademia di Brera. |
L’opera datata 1837, ritrae il fratello Giuseppe, anch’egli artista, intento a dipingere. L’uomo è rappresentato in abiti da lavoro e davanti al cavalletto, l’ambientazione è quella di un semplice interno borghese. La tipologia è quella del ritratto ambientato, in cui il soggetto del dipinto è rappresentato nello svolgimento delle attività quotidiane. Il ritratto era un genere pittorico molto in voga in epoca moderna, a partire dalla fine del Settecento ai primi decenni dell’Unità dell’Italia. Nel “Ritratto di Giuseppe Canella” elemento d’interesse è anche la rappresentazione di un atelier di pittura nella prima metà dell’800. La stanza ha solo alcuni disegni e pitture abbozzati sulle pareti spoglie: dalla finestra in cui si intravede uno scorcio dell’edificio antistante, penetra una timida luce fredda a illuminare il pavimento intarsiato. Centro dell’opera è l’artista seduto di tre quarti, la tela di fronte a lui e la scatola di colori al suo fianco. L’opera potrebbe essere identificata con l’ "Interno di uno studio di pittura dal vero” presentato a Brera nel 1837. Nel 1843, inoltre, risulta esposto un “Ritratto di pittore” che però farebbe pensare più ad un semplice ritratto che ad una composizione come quella in questione. Il quadro è giunto alla GAM nel 1918 per legato di Maria Elisa Canella ed è solitamente conservato nei depositi del Museo. È stato tra le opere selezionate per la mostra “Sei stanze” che si è tenuta alla GAM dal 21 maggio al 30 ottobre 2016. Riteniamo però che questo dipinto, di piccolo formato, possa essere riscoperto nella sua osservazione singolare – fuori dal contesto della mostra – per studiare con più attenzione i dettagli minuti, le delicate tinte che lo compongono. |
Dal 1969 al 1973, Cavaliere ha creato quelle che ha definito “teatro-sculture” di cui lui era organizzatore e regista, trasferendo così in una dimensione più elaborata e complessa la passione per la scultura-racconto, già emersa nelle opere precedenti, in particolare nel ciclo di Gustavo B. Nascono così I processi dalle storie inglesi di W. Shakespeare, grandiosa installazione (7mx10mx10m), acquisita dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, "Apollo e Dafne", esposta in questi mesi in "Hecce Homo", alla Mole di Ancona, e "A e Z aspettano l’amore", in comodato presso il Museo d’Arte Moderna di Verona. Quest’ultima, da parecchi anni non esposta a Milano, è stata l’opera presentata per la rassegna "Museo Segreto 2017" e per la prima volta è stata allestita con tutte e tre le figure realizzate da Cavaliere in quel lontano 1971: la donna in panchina ha infatti un suo doppio, rimasto segreto e conservato abitualmente lontano dagli occhi del pubblico. |